INSONNIA D’AMORE

Quali sono i momenti più difficili dopo la fine di una storia d’amore? Ce li racconta Arisa nella canzone “La notte”, composizione dolce e raffinata in cui mette a nudo le sue sensazioni più intime.

Con voce delicata e suggestiva ci confida che mentre di giorno si può fingere di stare bene, negando la sofferenza che si prova, la verità arriva di notte, nella solitudine del nostro animo.

Dopo la fine di un legame importante, un dolore diffuso, persistente e insostenibile, ci invade il corpo, la mente, il cuore e l’anima, e non ci lascia scampo.  

Quando siamo soli, nel silenzio della notte, le nostre ginocchia tremano, lo stomaco si chiude, la testa scoppia, il cuore batte martellante, gli occhi si riempiono di lacrime.

E non riusciamo a dormire perché la nostra mente vaga alla ricerca di un senso e di una accettazione che non riusciamo a trovare. I pensieri ci tormentano, l’amore ci manca, la nostalgia che proviamo aumenta ogni minuto che passa.

Arisa arriva a una prima profonda riflessione: anche se la vita ci ha separati da chi amiamo, l’amore che proviamo per quella persona è eterno e continuerà.   

Nel momento del dolore, che ha una sua dignità e funzione vitale, nulla ci porta sollievo: non basta un raggio di sole a illuminare un cielo scuro; non basta scrivere su un foglio i propri pensieri; non basta sapere che si è entrambi sconfitti, perché le motivazioni fondate o infondate contano sempre meno. Arisa chiede “il sole dov’è”. Manca il calore, la luce, l’energia, la vita. E’ come se fosse sceso un lungo inverno, fatto di freddo, buio e ghiaccio e si vaga dentro se stessi come lei nel videoclip vaga in casa, da una finestra all’altra.

Dopo averci parlato della profonda sofferenza che si prova, Arisa ci congeda con una seconda riflessione piena di speranza: “l’amore può allontanarci. La vita poi, continuerà”. Anche se ci sembra di non riuscire a superare il dolore, il progredire incessante della vita, ci prenderà per mano e ci porterà altrove e nel tempo, dentro il nostro cuore, si creerà spazio per un nuovo amore.

Testo “La notte” (Arisa)

Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare
Perché mi porto un dolore che sale, che sale
Si ferma sulle ginocchia che tremano e so perché
E non arresta la corsa lui non si vuole fermare
Perché è un dolore che sale, che sale e fa male
Ora è allo stomaco fegato, vomito, fingo, ma c’è

E quando arriva la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci
L’amore continuerà

Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare
Ma c’è il dolore che sale, che sale e fa male
Arriva al cuore lo vuole picchiare più forte di me
Prosegue nella sua corsa, si prende quello che resta
Ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa
Vorrebbe una risposta, ma in fondo risposta non c’è

Il sale scende dagli occhi
Il sole adesso dov’è
Mentre il dolore sul foglio è
Seduto qui accanto a me
Che le parole nell’aria
Sono parole a metà
Ma queste sono già scritte
E il tempo non passerà

Ma quando arriva la notte, la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci
L’amore poi continuerà

E quando arriva la notte, la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
L’amore può allontanarci
La vita poi, continuerà

Continuerà
Continuerà

D.ssa Roberta Maggioli

Psicologa

Studio a Rimini, Via D. Campana 14

per contatti tel. 3355334721

email: maggiolir@libero.it o maggioli.roberta72@gmail.com

Una Canzone sull’Amore che rende Ciechi

La canzone “La ballata dell’Amore cieco” di Fabrizio de Andre descrive la dinamica di un amore che arriva a far diventare cieca una persona. Nel testo della canzone si parla di continue prove estreme d’amore che la persona amata chiede all’altro, finalizzate ad annullare del tutto la personalità in un perverso gioco di potere

“Un uomo onesto, un uomo probo
Tralalalalla tralallaleru
S’innamorò perdutamente
D’una che non lo amava niente.Gli disse portami domani
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse portami domani
Il cuore di tua madre per i miei cani.Lui dalla madre andò e l’uccise
Tralalalalla tralallaleru
Dal petto il cuore le strappò
E dal suo amore ritornò.Non era il cuore, non era il cuore
Tralalalalla tralallaleru
Non le bastava quell’orrore
Voleva un’altra prova del suo cieco amore.Gli disse amor se mi vuoi bene
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse amor se mi vuoi bene
Tagliati dei polsi le quattro vene.Le vene ai polsi lui si tagliò
Tralalalalla tralallaleru
E come il sangue ne sgorgò
Correndo come un pazzo da lei tornò.Gli disse lei ridendo forte,
Tralalalalla tralallalero
Gli disse lei ridendo forte,
L’ultima tua prova sarà la morte.E mentre il sangue lento usciva
E ormai cambiava il suo colore,
La vanità fredda gioiva,
Un uomo s’era ucciso per il suo amore.Fuori soffiava dolce il vento
Tralalalalla tralallaleru
Ma lei fu presa da sgomento
Quando lo vide morir contento.Morir contento e innamorato
Quando a lei niente era restato
Non il suo amore non il suo bene
Ma solo il sangue secco delle sue vene. “

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private (anche telefoniche e/o via Skype)tel.320-8573502 o email:cavaliere@iltuopsicologo.it

Una Canzone sull’illusione dell’Amore per sempre

La bellssima “Canzone dell’Amore Perduto” di Fabrizio de Andrè descrive l’illusione iniziale di ogni amore per sempre: “Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”. Ma col tempo tutto si trasfoma e può finire: vorrei dirti ora le stesse cose ma come fan presto, amore, ad appassire le rose così per noi . Perchè si confonde la passione per amore per sempre, ma la passione è destinata, insorabilmente a finire. E si finisce per cercare una nuova passione con l’illusione, questa si eterna, di trovare un amore per sempre.

Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,

vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi

l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.

E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai

ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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Le metamorfosi di Piktor. Una favola d’amore di Hesse

Questa favola di Hermann Hesse descrive, attraverso l’uso della metafora dell’albero, che ogni forma diventa completa se si unisce ad un altra. Si può vivere benissimo da soli ma prima o poi ci si confronta con la mancanza di una persona da amare che permette di completare la nostra esistenza.

Piktor era appena entrato in Paradiso, quando si trovò di fronte ad un albero, che era nel contempo uomo e donna. Piktor salutò l’albero con riverenza e gli chiese: “ Sei tu l’Albero della Vita?” Siccome, tuttavia, il serpente pretendeva di rispondergli al posto dell’albero, egli volse le spalle e se ne andò. Era tutto occhi, gli piaceva tutto così tanto. Percepiva chiaramente di trovarsi a casa sua, presso la sorgente della vita.
E di nuovo vide un albero, che era nel contempo sole e luna.
Piktor disse: “Sei tu l’albero della vita?”.

Il sole annuì e rise, la luna annuì e sorrise.
I fiori più meravigliosi lo guardarono, con svariati colori e luce, con occhi e visi diversi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e sorridevano, altri ancora né annuivano, né sorridevano. Tacevano ebbri, immersi in se stessi, come affogando nel proprio profumo. Uno cantava il canto lillà, un altro cantava la ninnananna blu scura. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il suo primo amore. Uno odorava di giardino dell’infanzia, come la voce della madre, il suo dolce buon odore. Un altro gli sorrideva e tendeva verso di lui una curva lingua rossa. Lui la leccò, essa aveva un sapore forte e selvaggio, sapeva di resina e miele e anche del bacio di una donna.
Tra tutti i fiori Piktor s’aggirava pieno di nostalgia e gioia inquieta. Come se fosse una campana, il suo cuore batteva forte; bramava l’ignoto, incerto era il suo desiderio.
Piktor vide un uccello, lo vide seduto nell’erba, raggiante di colori, sembrava che possedesse tutti i colori. Chiese al bell’ uccello variopinto: “ Oh uccello, dov’è la felicità?”
“La felicità?”, rispose il bell’uccello e rise con il suo becco dorato, ” la felicità, amico mio, è dappertutto, nelle montagne e nelle valli, nei fiori e nei cristalli.

Con queste parole l’uccello felice scosse le sue piume, tirò il collo, agitò la coda, strizzò l’occhio, rise di nuovo, poi rimase seduto immobile, seduto tranquillamente nell’erba, ed ecco: l’uccello era diventato un fiore colorato, piume, foglie, artigli e radici. Nella brillantezza dei colori, danzando, divenne una pianta. Piktor lo guardò con meraviglia.
Subito dopo il fiore uccello mosse le sue foglie e gli stami, già si era stancato di essere un fiore, non aveva più radici, si moveva leggero, pendeva lentamente all’insù e già – era diventato una splendente farfalla, che si cullava sospesa, senza peso, tutta luce, con un viso completamente luminoso. Piktor si stupì molto.

Ma la nuova farfalla, la gioiosa e variopinta farfalla uccello fiore con il volto colorato e luminoso volava in cerchio attorno a Piktor, brillò al sole, si fece cadere a terra come un fiocco, rimase ferma davanti ai piedi di Piktor, respirò delicata, tremò un po’ con le ali splendenti, ed ecco che si trasformò in un cristallo colorato, dal quale brillava una luce rossa. La rossa pietra preziosa splendeva meravigliosamente tra l’erba verde e le piante, chiara come delle campane in festa. Il suo regno, però, la profondità della terra, sembrava che la chiamasse; velocemente cominciò a diventare sempre più piccola, minacciando perfino di sparire. Allora Piktor, spinto da un insaziabile desiderio, si avvicinò alla pietra e la portò a sé. Con entusiasmo, egli fissò lo sguardo nella sua luce magica che sembrava riempirgli il cuore con un presentimento di beatitudine. All’improvviso, strisciando sul ramo di un albero secco, il serpente gli sibilò nell’orecchio: “La pietra si trasforma in tutto ciò che vuoi. Svelto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!
Piktor si spaventò, temendo di perdere la sua felicità.
Velocemente disse la parola e si trasformò in un albero.
Ecco, proprio questo aveva desiderato da sempre, essere un albero. Gli alberi sembravano così pieni di calma, forza e dignità.
Piktor era diventato un albero. Crebbe con le radici nella terra, si alzò verso il cielo, foglie e rami crescevano dalle sue membra e lui fu molto soddisfatto di ciò.

Egli era molto felice. Succhiò con fibre assetate profonde nella terra fresca e soffiava con le sue foglie in alto nel blu. I coleotteri vivevano nella sua corteccia, ai suoi piedi vivevano lepri e tartarughe, nei suoi rami gli uccelli. L’albero Piktor era contento e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima di rendersi conto che la sua felicità non era perfetta. Lentamente imparò a vedere con gli occhi da albero. Alla fine si vide e diventò triste.

Infatti, egli vide che intorno a lui, in paradiso, la maggior parte degli esseri si trasformava molto spesso, che tutto scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide i fiori diventare pietre preziose o volare via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più di un albero scomparire all’improvviso: uno si era sciolto in una fonte, un altro era diventato un coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento con grande piacere, come un pesce allegro guizzando, inventando nuovi giochi in nuove forme. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori. Lui invece, l’albero di Piktor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui scoprì questo, la sua felicità svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell’aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: Quando non possiedono più il dono della trasformazione, prima o poi sprofondano nella tristezza e nell’abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dal vestito azzurro si perse in quella parte del Paradiso. Correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione.
Più di una furba scimmia sorrise alle sue spalle, più di un cespuglio la sfiorò teneramente con un virgulto, più di un albero le gettò un fiore, una noce, una mela senza che lei vi badasse.
Quando l’albero Piktor vide la fanciulla, sentì una grande nostalgia, un desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo cominciò a riflettere, era come se il suo stesso sangue gli gridasse: “Ritorna in te ! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità.
Ed egli obbedì. Si ricordò delle sue origini, dei suoi anni da uomo, del suo ingresso nel Paradiso, e specialmente di quell’attimo, prima che diventasse un albero, quell’attimo meraviglioso in cui aveva tenuto in mano la pietra magica.
Allora, mentre ogni cambiamento gli era aperto, la vita era stata ardente in lui come non mai! Egli pensò all’uccello, che aveva riso, all’albero con il sole e la luna; gli venne l’idea che aveva omesso qualcosa, dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono.

La ragazza sentì un fruscio tra le foglie dell’albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì muoversi dentro di lei, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri,nuovi desideri, nuovi sogni. Attratta da una forza sconosciuta si sedette sotto l’albero. Esso le appariva solitario e triste, ma anche bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido e sentì l’albero rabbrividire profondamente. Sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?

L’albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale e si protendeva verso la ragazza in un ardente desiderio di unione. Perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così per sempre solo in un albero! Oh come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero, allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto della vita? No, anche allora l’aveva oscuramente sentito e presagito e con dolore e profonda comprensione pensò ora all’albero che era fatto di uomo e di donna!
Un uccello rosso venne volando, un uccello verde e rosso, un uccello ardito e bello, descriveva nel cielo un cerchio. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò di rosso come il sangue rosso, come la brace, cadde tra le verdi piante e splendette di tanta familiarità tra le verdi piante. Il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino ed intorno ad esso non ci poteva essere oscurità.

Non appena la fanciulla ebbe la pietra fatata nella sua bianca mano, si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt’uno con l’albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine solo ora era stato trovato il paradiso.
Piktor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Piktoria, Viktoria.
Egli fu trasformato. Perché questa volta aveva raggiunto la giusta, l’eterna trasformazione, perché da una metà era diventato l’intero. D’ora in poi avrebbe potuto trasformarsi quanto volesse. Continuamente scorreva il flusso incantato del divenire attraverso il suo sangue, eternamente prendeva parte al creato che sorgeva ogni ora nuovo.
Egli diventò capriolo, diventò pesce, diventò uomo e serpente, nuvola e uccello. Ma in ogni forma era completo, era una coppia, aveva la luna e il sole, aveva in sé il maschio e la femmina, scorreva come un fiume gemello attraverso le terre, stava come una duplice stella nel cielo.

Eros Ramazzotti ha raccontato questa storia in una sua camzone “FAVOLA”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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Gli “Amori di Plastica”

Carmen Consoli nella canzone “Amori di Plastica” descrive quegli amori dove non esiste, rispetto, reciprocità, attenzione verso la persona amata. Allo stesso tempo il testo della canzone suggerisce la possibile terapia quando afferma ” Ma io non posso accontentarmi Se tutto quello che sai darmi È un amore di plastica “ Anche se nella realtà , talvolta, si ha difficoltà a buttare via un amore di plastica. Invece è necessario andare alla ricerca di amori composti da “materiali” più pregiati.

Non sei per nulla obbligato a comprendermi
Quasi non sento il bisogno d’insistere
E tu che mi offrivi un amore di plastica
Ti sei mai chiesto se onesto era illudermi Ricorda tu sei quello che non c’è
Quando io piango
E tu sei quello che non sa
Quando è il mio compleanno
Quando vago nel buio Ma come posso dare l’anima e riuscire a credere
Che tutto sia più o meno facile
Quando è impossibile
Volevo essere più forte di ogni tua perplessità
Ma io non posso accontentarmi
Se tutto quello che sai darmi
È un amore di plastica E tu sei quel fuoco che stenta ad accendersi
Non hai più scuse eppure sai confondermi Ricorda tu sei quello che non c’è
Quando io piango
E tu sei quello che non sa
Quando è il mio compleanno
Quando vago nel buioMa come posso dare l’anima e riuscire a credere
Che tutto sia più o meno facile quando è impossibile
Volevo essere più forte di ogni tua perplessità
Ma io non posso accontentarmi
Se tutto quello che sai darmi
È un amore di plastica Volevo essere più forte di ogni tua perplessità
Ma io non posso accontentarmi
Se tutto quello che sai darmi
È un amore di plastica Ma io non posso accontentarmi
Se tutto quello che sai darmi
È un amore di plastica

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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La canzone “La Cura” come cura per ogni momento difficile

La canzone “La Cura” di Battiato, oltre ad essere una delle più belle canzoni del panorama italiano, rappresenta, attraverso il testo e la melodia che l’accompagna, una cura, un antidoto per i momenti difficili della nostra esistenza.

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via,
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti sollleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.

Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee,
come vi ero arrivato chissà
non hai fiori bianchi per me?
più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza,
percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d’Agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto,
conosco le leggi del mondo e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
ti salverò da ogni malinconia.

Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.
Io sì che avrò cura di te

Dott. Roberto Cavaliere

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Una Canzone per gli Amori a Distanza

La canzone di Ed Sheeran “All of the stars” descrive in maniera poetica come fare per poter rimanere in contatto con la persona amata, seppur a distanza. Ogni altra parola di commento alla canzone è inutile, rispetto alla poesia del testo.

E’ solo un’altra notte
E sto fissando la luna
Ho visto una stella cadente
E ho pensato a te
Ho cantato una ninna nanna
In riva al fiume e sapevo che
Se tu fossi stata qui ,
L’avrei cantata a te
Tu sei dall’altra parte
Mentre l’orizzonte si divide in due
Io sono lontano dal vederti
Riesco a vedere le stelle
dall’America
Mi chiedo, non le vedi anche tu?

Quindi, apri gli occhi e guarda
Il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ci guideranno
Nella notte con me
E so che queste cicatrici sanguineranno
Mentre entrambi i nostri cuori sanguineranno
Tutte queste stelle ci guideranno a casa

Riesco a sentire il tuo cuore
Battere in radio
Stanno suonando ‘Chasing Cars’
E ho pensato a noi
Indietro nel tempo ,
Stavi riposando accanto a me
Ho guardato e mi sono innamorato
Così ti ho preso la mano
Ho fatto ritorni nelle strade londinesi che conoscevo
Tutto ciò ha portato di nuovo a te
Così puoi vedere le stelle ?
Oltre Amsterdam
Tu sei la canzone che il mio cuore sta suonando

Quindi, apri gli occhi e guarda
Il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ci guideranno
Nella notte con me
E so che queste cicatrici sanguineranno
Mentre entrambi i nostri cuori sanguineranno
Tutte queste stelle ci guideranno a casa

E, oh ??, lo so
E, oh ??, lo so , oh
Riesco a vedere le stelle
dall’America

Dott. Roberto Cavaliere

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Insieme nella Passione e… nella Vita

La bellissima canzone di Mina “Insieme” descrive lo stare Insieme non in una normale vita di coppia ma nei momenti della passione, quando anche un solo giorno insieme potrebbe rappresentare una vita. Una visione romantica dello stare insieme a cui dovrebbe poi seguire uno stare insieme nella quotidianeità affiche la relazione possa durare nel tempo.

Io non ti conosco
Io non so chi sei
So che hai cancellato con un gesto
I sogni miei
Sono nata ieri nei pensieri tuoi
Eppure adesso siamo insiemeNon ti chiedo sai quanto resterai
Dura un giorno la mia vita
Io saprò che l’ho vissuta
Anche solo un giorno
Ma l’avrò fermata insieme a te
A te che ormai sei mio
Tu l’amore io
Insieme, insieme
La, la, la, la, la
Io ti amo e ti amerò
Finché lo vuoi
Anche sempre se tu lo vorrai
Insieme, insieme, insieme a te
La, la, la, la, la, la, la, la, la
Tu, tu l’amore io
Insieme, insiemeIo non ti conosco
Io non so chi sei
So che hai cancellato con un gesto i sogni miei
Sono nata ieri nei pensieri tuoi
Eppure…

Dott. Roberto Cavaliere

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NON SI MUORE PER AMORE

La canzone di Lucio Battisti “Io vivrò (senza te)” ben descrive la condizione di chi vive la fine di un amore. Una condizione di gesti quotidiani che continuano ad esserci anche senza più la presenza della persona amata . Una quotidianeità vissuta nella sofferenza ma che comunque non porta alla morte. Allo stesso modo la pensava lo scrittore Herman Hesse quando affermava: ” Ecco, vedi, io mi sono innamorato due volte nella vita, ma sul serio, e tutt’e due le volte ero sicuro che sarebbe stato per sempre e fino alla morte, e tutt’e due le volte è finita e non sono morto. “

Che non si muore per amore
È una gran bella verità
Perciò dolcissimo mio amore
Ecco quello, quello che da domani
Mi accadràIo vivrò
Senza te
Anche se ancora non so
Come io vivrò
Senza te
Io senza te
Solo continuerò
E dormirò
Mi sveglierò
Camminerò
Lavorerò
Qualche cosa farò
Qualche cosa farò
Sì qualche cosa farò
Qualche cosa di sicuro io faròPiangerò
Sì, io piangeròE se ritorni nella mente
Basta pensare che non ci sei
Che sto soffrendo inutilmente
Perché so
Io lo so
Io so che non tornerai

Dott. Roberto Cavaliere

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ABBI CURA DI ME

In questa bellissima Canzone di Simone Cristicchi è rappresentata in maniera significativa che cosa vuol dire prendersi cura della persona amata. Il testo della canzone si commenta da solo

Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
È la scintilla divina che custodisci nel cuore
Tu non cercare la felicità semmai proteggila
È solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima
È una manciata di semi che lasci alle spalle
Come crisalidi che diventeranno farfalle

Ognuno combatte la propria battaglia
Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia
Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso
Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso
Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo
Anche se sarà pesante come sollevare il mondo
E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre
Ti immagini se cominciassimo a volare
Tra le montagne e il mare
Dimmi dove vorresti andare
Abbracciami se avrai paura di cadere
Che nonostante tutto
Noi siamo ancora insieme
Abbi cura di me qualunque strada sceglierai, amore
Abbi cura di me
Abbi cura di me

Che tutto è così fragile
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
Perché mi trema la voce come se fossi un bambino
Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare
Tu stringimi forte e non lasciarmi andare
Abbi cura di me

Simone Cristicchi

Dott. Roberto Cavaliere

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