I principali Miti Greci con risvolto psicologico

Molti miti greci contengono elementi che possono essere interpretati psicologicamente. Ecco alcuni esempi significativi:

  1. Edipo: Il mito di Edipo, raccontato da Sofocle, è fondamentale nella psicologia, specialmente nella teoria di Sigmund Freud che ha formulato il complesso di Edipo. Il mito esplora temi di identità, destino e conflitto con le figure genitoriali.
  2. Narciso: La storia di Narciso, che si innamora della propria immagine riflessa nell’acqua e muore a causa della sua ossessione, è spesso usata per discutere del narcisismo e dell’amore patologico verso se stessi.
  3. Orfeo ed Euridice: Il mito di Orfeo, che cerca di riportare in vita la sua amata Euridice dall’oltretomba, affronta temi di perdita, lutto e il potere dell’amore e dell’arte. La sua incapacità di rispettare la condizione posta da Ade (non voltarsi a guardare Euridice) può essere vista come una metafora della difficoltà di lasciar andare il passato.
  4. Perseo e Medusa: La storia di Perseo che sconfigge Medusa può essere interpretata come un simbolo del superamento delle paure e dei traumi. Medusa, con il suo aspetto terrificante, rappresenta il terrore che può paralizzare, mentre Perseo rappresenta l’eroe che, con l’aiuto degli dei, riesce a confrontarsi e superare queste paure.
  5. Icaro e Dedalo: Il mito di Icaro e Dedalo esplora temi di ambizione, hybris (tracotanza) e le conseguenze della disobbedienza. Icaro, nonostante gli avvertimenti del padre Dedalo, vola troppo vicino al sole, facendo sciogliere la cera delle sue ali e precipitando nel mare. Questo mito è spesso interpretato come un avvertimento contro l’eccessiva ambizione e l’importanza di seguire la saggezza e la moderazione.
  6. Eracle: Le dodici fatiche di Eracle possono essere viste come un viaggio di purificazione e crescita personale. Ogni fatica rappresenta una sfida da superare, simbolizzando il superamento di aspetti negativi della psiche e la ricerca della redenzione.
  7. Psiche e Amore: Come menzionato prima, il mito di Psiche e Amore è ricco di significati psicologici legati alla crescita personale, l’amore, la fiducia e l’integrazione dell’inconscio.
  8. Pandora: Il mito di Pandora, che apre il vaso (spesso erroneamente tradotto come “scatola”) liberando tutti i mali nel mondo ma lasciando dentro la speranza, riflette sulle conseguenze della curiosità e dell’azione impulsiva. Può anche essere visto come un’allegoria della condizione umana, in cui nonostante le difficoltà e le sofferenze, la speranza rimane.

Questi miti non solo raccontano storie affascinanti, ma attraverso le loro narrazioni, riflettono e illuminano le complessità della mente umana e delle esperienze psicologiche.

Dottor Roberto Cavaliere Psicoterapeuta. Studio professionale in Milano, Roma e Salerno. Possibilità di effettuare sedute tramite videochiamata.

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I significati psicologici del mito di Amore & Psiche

Il mito di Amore e Psiche, presente nelle “Metamorfosi” di Apuleio, è ricco di significati psicologici che riflettono diverse tematiche umane. Ecco alcune interpretazioni principali:

  1. Crescita e maturazione psicologica: La storia di Psiche rappresenta il viaggio di crescita e maturazione dell’anima umana. Psiche deve affrontare varie prove per riunirsi con Amore (Eros), simboleggiando le sfide e i sacrifici necessari per raggiungere una completa realizzazione personale e spirituale.
  2. Amore e fiducia: Il mito esplora la complessità dell’amore, inclusi gli elementi di fiducia e tradimento. Psiche viene messa alla prova per la sua curiosità e mancanza di fiducia, ma alla fine il vero amore trionfa, insegnando che la fiducia reciproca è essenziale in una relazione.
  3. Integrazione dell’inconscio: Alcuni psicologi vedono in questa storia un processo di integrazione delle parti inconsce della mente. Psiche, che significa “anima” in greco, deve conoscere e accettare aspetti oscuri e nascosti (rappresentati da Amore che si nasconde nell’oscurità) per raggiungere la completezza.
  4. Rinascita e trasformazione: Le prove di Psiche possono essere viste come simboli di morte e rinascita. Ogni sfida rappresenta un passaggio verso una nuova fase della sua vita, culminando nella sua apoteosi come divinità, simbolizzando la trasformazione e l’elevazione dell’anima.
  5. Conflitto tra anima e desiderio: Il mito rappresenta anche il conflitto tra il desiderio fisico (Eros) e l’anima (Psiche). Il viaggio di Psiche può essere visto come un’armonizzazione di questi due aspetti, suggerendo che l’equilibrio tra desiderio e spiritualità è fondamentale per l’armonia interiore.

Questi significati psicologici del mito di Amore e Psiche riflettono le profonde verità umane riguardanti l’amore, la crescita personale e spirituale, e l’integrazione degli aspetti diversi della psiche.

Dottor Roberto Cavaliere Psicoterapeuta. Studio professionale in Milano, Roma e Salerno. Possibilità di effettuare sedute tramite videochiamata.

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INSONNIA D’AMORE

Quali sono i momenti più difficili dopo la fine di una storia d’amore? Ce li racconta Arisa nella canzone “La notte”, composizione dolce e raffinata in cui mette a nudo le sue sensazioni più intime.

Con voce delicata e suggestiva ci confida che mentre di giorno si può fingere di stare bene, negando la sofferenza che si prova, la verità arriva di notte, nella solitudine del nostro animo.

Dopo la fine di un legame importante, un dolore diffuso, persistente e insostenibile, ci invade il corpo, la mente, il cuore e l’anima, e non ci lascia scampo.  

Quando siamo soli, nel silenzio della notte, le nostre ginocchia tremano, lo stomaco si chiude, la testa scoppia, il cuore batte martellante, gli occhi si riempiono di lacrime.

E non riusciamo a dormire perché la nostra mente vaga alla ricerca di un senso e di una accettazione che non riusciamo a trovare. I pensieri ci tormentano, l’amore ci manca, la nostalgia che proviamo aumenta ogni minuto che passa.

Arisa arriva a una prima profonda riflessione: anche se la vita ci ha separati da chi amiamo, l’amore che proviamo per quella persona è eterno e continuerà.   

Nel momento del dolore, che ha una sua dignità e funzione vitale, nulla ci porta sollievo: non basta un raggio di sole a illuminare un cielo scuro; non basta scrivere su un foglio i propri pensieri; non basta sapere che si è entrambi sconfitti, perché le motivazioni fondate o infondate contano sempre meno. Arisa chiede “il sole dov’è”. Manca il calore, la luce, l’energia, la vita. E’ come se fosse sceso un lungo inverno, fatto di freddo, buio e ghiaccio e si vaga dentro se stessi come lei nel videoclip vaga in casa, da una finestra all’altra.

Dopo averci parlato della profonda sofferenza che si prova, Arisa ci congeda con una seconda riflessione piena di speranza: “l’amore può allontanarci. La vita poi, continuerà”. Anche se ci sembra di non riuscire a superare il dolore, il progredire incessante della vita, ci prenderà per mano e ci porterà altrove e nel tempo, dentro il nostro cuore, si creerà spazio per un nuovo amore.

Testo “La notte” (Arisa)

Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare
Perché mi porto un dolore che sale, che sale
Si ferma sulle ginocchia che tremano e so perché
E non arresta la corsa lui non si vuole fermare
Perché è un dolore che sale, che sale e fa male
Ora è allo stomaco fegato, vomito, fingo, ma c’è

E quando arriva la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci
L’amore continuerà

Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare
Ma c’è il dolore che sale, che sale e fa male
Arriva al cuore lo vuole picchiare più forte di me
Prosegue nella sua corsa, si prende quello che resta
Ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa
Vorrebbe una risposta, ma in fondo risposta non c’è

Il sale scende dagli occhi
Il sole adesso dov’è
Mentre il dolore sul foglio è
Seduto qui accanto a me
Che le parole nell’aria
Sono parole a metà
Ma queste sono già scritte
E il tempo non passerà

Ma quando arriva la notte, la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci
L’amore poi continuerà

E quando arriva la notte, la notte
E resto sola con me
La testa parte e va in giro
In cerca dei suoi perché
Né vincitori, né vinti
Si esce sconfitti a metà
L’amore può allontanarci
La vita poi, continuerà

Continuerà
Continuerà

D.ssa Roberta Maggioli

Psicologa

Studio a Rimini, Via D. Campana 14

per contatti tel. 3355334721

email: maggiolir@libero.it o maggioli.roberta72@gmail.com

L’AMORE RIFIUTATO

A molti di noi è capitato di vivere un amore non corrisposto: di esserci innamorati di qualcuno che ci ha respinto. Possiamo aver accusato il colpo, provando una sofferenza superficiale, simile a un taglio fatto con la carta che dopo poco tempo guarisce, senza lasciare alcuna cicatrice. Oppure il rifiuto può averci riaperto una ferita dolorosa e profonda che ben conosciamo: se durante l’infanzia un famigliare ha adottato un atteggiamento rifiutante nei nostri confronti o crescendo alcuni partner ci hanno allontanato è molto più faticoso metabolizzare l’accaduto.

Dopo essere stati respinti è come se nella nostra mente si installasse un filtro che condiziona i nostri pensieri e i nostri comportamenti: metterci in relazione con gli altri diventa complesso. Per esempio possiamo essere inclini a cercare costantemente l’approvazione e il riconoscimento da parte delle altre persone e parallelamente sviluppare una vulnerabilità ad ogni commento e critica negativa che riceviamo. Possiamo fraintendere una gentilezza di un amico/a per un suo interesse romantico oppure sentirci respinti anche quando in realtà non lo siamo, scappando per primi. Possiamo cercare di compensare il profondo senso di solitudine e il bisogno di affetto che proviamo, volendo a tutti i costi una relazione, anche con qualcuno a cui non interessiamo o che non può darci quello che vorremmo per mancanza di compatibilità o perché già impegnato in una relazione. In alcuni casi, per la sua indisponibilità, lo/a idealizziamo e diventa per noi irresistibile, una vera e propria ossessione. Nonostante la quotidiana dose di frustrazione e dolore nutriamo una speranza incrollabile che prima o poi lo/a convertiremo al nostro amore. Scegliamo quel legame ad ogni costo per non sentirci senza valore come in passato anche se realisticamente è una relazione che non ha presente né futuro, in cui sostanzialmente replichiamo un copione che ci è famigliare e da cui non sappiamo uscire.

Le ferite psicologiche che conseguono ad un rifiuto non vanno fatte “infettare” perché rischiamo di sviluppare una sintomatologia di tipo depressivo.   

Quando veniamo respinti, la nostra ragione non riesce a prendere le distanze dalla sofferenza che ne consegue. Proviamo una forte tristezza, ansia, disagio, senso di vuoto e/o rabbia che in rari casi può innescare gravi forme di aggressività, eterodiretta o autodiretta. Spesso la cronaca nera narra di partner respinti che cercano vendetta o che si fanno male.

Quando veniamo rifiutati immancabilmente sviluppiamo un atteggiamento estremamente autocritico, identificando tutti i nostri difetti e sviluppando la convinzione di essere inadeguati (per esempio “non sono abbastanza interessante per lui/lei”) arrivando a credere che vivremo sempre la stessa situazione (“nessuno mi amerà mai perché non sono interessante per nessuno”).

Riesaminiamo ogni istante della relazione alla ricerca del passo falso che abbiamo commesso (“non avrei mai dovuto…”), colpevolizzandoci e idealizzando l’altro come perfetto, unico a poterci salvare e che può legittimare il nostro valore. La convinzione profonda che sviluppiamo è: se avessimo fatto qualcosa di diverso avremmo potuto realizzare il nostro sogno d’amore.

Quando la nostra autostima comincia a sgretolarsi parallelamente iniziamo a costruirci (più o meno consapevolmente) una corazza per evitare di rivivere la sofferenza che abbiamo già provato. Iniziamo a isolarci, a fuggire dagli altri, alterando il nostro naturale senso di appartenenza.

Tutti questi pensieri e comportamenti in realtà non fanno altro che aumentare il nostro dolore, come se gettassimo sale sulla ferita.

Quando una persona che non ci vuole afferma: “non dipende da te, ma da me” è l’assoluta verità: non le interessiamo e semplicemente il suo volere va accettato. Se non ce lo dice, come nel caso del ghosting è una verità ancora più incontrovertibile oltre che una grande fortuna perché ci ha mostrato, dileguandosi, tutta la sua immaturità affettiva.

L’amore è un magico incontro in cui si allineano bisogni infantili, desideri, attrazioni fisiche e mentali, complicità emotive, stili di vita, aspettative e progettualità.

Veniamo respinti quando l’altro ritiene che non è possibile far combaciare questi aspetti tra di noi.

D.ssa Roberta Maggioli

Psicologa

Studio a Rimini, Via D. Campana 14

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Una Canzone sull’illusione dell’Amore per sempre

La bellssima “Canzone dell’Amore Perduto” di Fabrizio de Andrè descrive l’illusione iniziale di ogni amore per sempre: “Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”. Ma col tempo tutto si trasfoma e può finire: vorrei dirti ora le stesse cose ma come fan presto, amore, ad appassire le rose così per noi . Perchè si confonde la passione per amore per sempre, ma la passione è destinata, insorabilmente a finire. E si finisce per cercare una nuova passione con l’illusione, questa si eterna, di trovare un amore per sempre.

Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,

vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi

l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.

E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai

ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private (anche telefoniche e/o via Skype)tel.320-8573502 o email:cavaliere@iltuopsicologo.it

Una Canzone sugli Amori che non muoiono mai

La Canzone dei Vecchi Amanti cantata da Battiato è la traduzione italiana de La chanson des vieux amants di Jacques Brel . In questa sede viene proposta come canzone che rievoca amori che non finiscono mai, nonostante gli alti e bassi, nonostante le separazioni perchè ” Certo ci fu qualche tempesta, Anni d’amore alla follia. Mille volte tu dicesti basta Mille volte io me ne andai via. ” ma ” Ti amo ancora sai ti amo. So tutto delle tue magie E tu della mia intimità Sapevo delle tue bugie Tu delle mie tristi viltà. So che hai avuto degli amanti
Bisogna pur passare il tempo Bisogna pur che il corpo esulti
Ma c’é voluto del talento Per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.
” In quest’ultima frase è espresso il concetto che ogni amore può invecchiare ma mantenendo sempre,anche se in parte, un suo aspetto adolescenziale.

La Canzone Dei Vecchi Amanti – Franco Battiato
Certo ci fu qualche tempesta
Anni d’amore alla follia.
Mille volte tu dicesti basta
Mille volte io me ne andai via.
Ed ogni mobile ricorda
In questa stanza senza culla
I lampi dei vecchi contrasti
Non c’era più una cosa giusta
Avevi perso il tuo calore
Ed io la febbre di conquista.
Mio amore mio dolce meraviglioso amore
Dall’alba chiara finché il giorno muore
Ti amo ancora sai ti amo.
So tutto delle tue magie
E tu della mia intimità
Sapevo delle tue bugie
Tu delle mie tristi viltà.
So che hai avuto degli amanti
Bisogna pur passare il tempo
Bisogna pur che il corpo esulti
Ma c’é voluto del talento
Per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.
Mio amore mio dolce mio meraviglioso amore
Dall’alba chiara finché il giorno muore
Ti amo ancora sai ti amo.
Il tempo passa e ci scoraggia
Tormenti sulla nostra via
Ma dimmi c’é peggior insidia
Che amarsi con monotonia.
Adesso piangi molto dopo
Io mi dispero con ritardo
Non abbiamo più misteri
Si lascia meno fare al caso
Scendiamo a patti con la terra
Però é la stessa dolce guerra.
Mon amour
Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
De l’aube claire jusqu’à la fin du jour
Je t’aime encore, tu sais, je t’ame.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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Nelle Relazioni si trovano le parole giuste ma si sbaglia l’accento

Le persone
trovano sempre le parole giuste,
ma sbagliano l’accento.
E vedo che preferiscono
i prìncipi ai princìpi
che si pèrdono sul perdòno,
che vogliono tutto sùbito
senza ricordare cosa hanno subìto
che non gettano mai l’àncora
ma ne vogliono sempre ancòra
che desiderano le loro vite leggère
ma non sanno lèggere negli occhi
e ho capito che
le persone
trovano sempre le parole giuste,
ma sbagliano l’accento.

(Gio Evan)

In questa bellissima poesia di Gio Evan viene espresso quella che è una degli errori principali nella comunicazione di coppia: sentire e voler comunicare le giuste parole ma sbagliarle nell’esprimerle. Sbagliare anche un semplice accento può cambiare il senso di una parola al pari di sbagliare una tonalità nel comunicare può cambiare il senso della comunicazione stessa. Scelta delle parole, tonalità nel comunicare ed, appunto, anche accento possono avvicinare l’altro come allontanarlo.

Come affermava il sociologo Bauman: ‘Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione‘ 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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Relazioni tra reale e irreale – L’intimità virtuale del film “Her”

Oggi più che mai, in un periodo di forzato isolamento e di distacco dagli affetti e dalle relazioni vis a vis, il ruolo della tecnologia e dei social assurge a strumento primario e necessario per contrastare gli effetti della solitudine. I suoi meccanismi e contraddizioni però portano spesso a interrogarsi sugli effetti nella vita reale e nell’equilibrio psicologico delle persone e sulla loro natura di effettivi facilitatori o creatori di un sistema illusorio di relazioni (im)produttive.

Tra i film che meglio analizzano l’evoluzione del nostro rapporto con il virtuale sicuramente “Her” è uno degli esempi di maggior rilievo. Uscito nel 2013 ,“Her” è un film diretto e scritto da Spike Jonze con protagonista Joaquin Phoenix e vincitore del Premio Oscar alla miglior sceneggiatura. Ambientato in un futuro non troppo lontano in cui i computer sono ancora più parte integrante della quotidianità, segue le vicende di Theodore, che per lavoro scrive lettere per conto di altri dettandole al pc. Proprio la sua occupazione, in cui si ritrova a esprimere sentimenti altrui, denota la sua particolare sensibilità e profondità nel vivere i rapporti. A farne da controparte vi è però la sua difficoltà nel relazionarsi ad altre persone e mostrare i suoi sentimenti e i suoi pensieri più profondi.

Uomo solitario e alle prese con un matrimonio da poco finito, Theodore decide di provare un nuovo sistema operativo molto avanzato, scegliendo una voce di interfaccia femminile. Samantha, questo il nome della voce del sistema, ha una straordinaria capacità di apprendimento e di evoluzione e inizia ad instaurare un rapporto sempre più profondo con il giovane scrittore. Capace di un vero e proprio sviluppo psicologico, il sistema operativo (la cui voce nella versione originale è di Scarlett Johansson) riesce pian piano a rimettere in piedi Theodore consentendogli di affrontare la rottura con Catherine, la sua ex moglie, e di uscire dalla malinconia e apatia che lo avevano completamente avvolto. La fine del suo matrimonio lo porta a prendere coscienza dei suoi limiti e a concentrarsi su quanto una relazione sana richieda anche spirito di sacrificio e compressi.

Theodore e Samantha iniziano così una inusuale storia d’amore, tra materiale e immateriale, in cui l’affinità intellettuale supera anche la mancanza di un corpo. In una Los Angeles sempre più connessa, in cui altissimi grattacieli e skyline fatti di luci fanno da sfondo alle passeggiate romantiche dei due, non si può fare a meno di riflettere su quanto la tecnologia si ritagli un posto sempre più grande nelle nostre vite andando a colmare inevitabili vuoti relazionali. Sempre più connessi ma sempre più distanti, questo sembra il messaggio di Jonze, quanto mai attuale. Deleghiamo ogni giorno di più il nostro mondo affettivo alla tecnologia; ormai anche la conoscenza avviene su app di incontri supportando così le nostri relazioni in maniera solo apparentemente innocua.

Oltre al lato virtuale, la relazione tra Theodore e Samantha è contraddistinta dalla piena dedizione da parte di quest’ultima nei confronti dello scrittore. Essa infatti è plasmata in base alle sue preferenze e ai suoi dati, dunque in funzione del suo fruitore. Se da una parte questo è ciò che serve al protagonista per avanzare negli stadi della separazione e accettazione del divorzio, si configura però con tutti i limiti dovuti alla diversa essenza e linguaggio dei suoi componenti. Un rapporto amoroso sano infatti ha bisogno di superare le aspettative e proiezioni che il virtuale per sua stessa natura riesce a creare e esaltare.

Il finale del film rivela un punto di vista molto più in favore dell’importanza del coltivare rapporti umani sinceri, per quanto difficile in un mondo connesso ma solitario, con tutto l’impegno e la capacità di entrare realmente in contatto e prendere coscienza di sé che ne consegue. Spunto di riflessione e occasione per porsi qualche domanda, “Her” è una pellicola intima e delicata sull’essenza dell’amore e sulla libertà che lo circonda superando le tendenze al controllo in una società dove tutto sembra dover rientrare all’interno di schemi predefiniti.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

per contatti: miriamreale.mr@gmail.com

Lasciarsi e Ritrovarsi. Amarsi e Riamarsi

In questo brano del grande poeta Whitmann viene descritta una coppia che si ritrova, dopo essersi lasciati e si rendono conto di essersi amati e di non averlo compreso a suo tempo. La sequenza della conversazione è di una significatività incredibile nel descrivere le sensazioni che entrambi rievocano e continuano a provare. Da leggere attentamente

Ti sei fatta crescere i capelli.
– Così pare.
– Ce li avevi corti quando stavi con me.
– Lo so.
– Stai bene,
comunque.
– Grazie.
– Sei proprio bella.
– Non dovresti dirmelo.
Sono la tua ex.
– Posso dirtelo.
Ti ho amato.
Sul suo viso comparve una smorfia: –
Mi hai amato solo perché sono bella?
– No, affatto.
Ti ho amato perché…
in realtà non lo so perché.
– Come sarebbe a dire che non sai perché?
– Che tu eri…
non lo so.
Ci fu un attimo di silenzio, poi lei finalmente sorrise: –
Io ti amavo.
Tu non l’hai mai capito ma io ti amavo.
– Tu non me l’hai mai detto.
– Hai ragione.
Ti ho detto molte altre cose ma non quella.
– Mi hai detto che ero un coglione,
che ti trattavo male,
che ero immaturo…
Sbuffò:-
Dio mio,
lo sai che non lo pensavo davvero.
– E che pensavi davvero?
– Che eri fantastico.
Avevi quel modo tutto tuo
di vedere le cose
e io amavo quel tuo modo
di vedere le cose.
Eri adorabile
quando mi sorridevi dall’altra parte della strada
e quando mi accarezzavi la guancia appena mi vedevi giù di morale.
Eri dolcissimo quando mi permettevi di stare tra le tue braccia
e sai io odiavo sentirmi piccola
ma quando mi stringevi mi sentivo minuscola e stavo comunque benissimo nei tuoi abbracci
ed eri straordinario
quando stavi ad ascoltare le mie paturnie sconnesse come stai facendo ora…
Si fermò per un istante
con le lacrime agli occhi,
poi lo guardò
e la voce le tremava mentre pronunciava quelle parole: –
E come ora mi sorridevi.
Solo che poi mi baciavi
e mi dicevi che andava tutto bene.
Fu un attimo.
Un attimo in cui lui la baciò.
E le disse:
Va tutto bene.
Lei fece un respiro profondo.
– Non avresti dovuto farlo. Sono la tua ex.
– Sai perché ti ho amato?
– No.
– Perché era impossibile non farlo.
Eri qualcosa
che non riuscivo a capire
e quando ci provavo
mi perdevo.
E quando mi perdevo
trovavo i tuoi occhi
e loro mi guardavano sempre con un amore sconfinato, non importava
quanto io fossi stronzo
o quanto ti facessi incazzare o piangere,
i tuoi occhi
continuavano sempre ad amarmi.
Io ti amavo perché eri forte, piccola.
Tu pensavi sempre
che fossi io
a proteggere te
e invece eri tu a proteggere me.
Io non ti ho mai protetto.
E tu non hai idea…
non hai idea
di quante volte mi sono odiato.
Mi sono odiato
tutte le volte in cui non ti difendevo e non ti dicevo di amarti.
Tu non mi dicevi di amarmi ma io sapevo che mi amavi. Io non ti dicevo di amarti ma ti amavo.
Tu lo sapevi?
Il sorriso della donna era triste:
No.
– Ma ti amavo.
Davvero.
– Se l’avessi saputo
non mi sarei arresa con te.
– Quindi adesso saremmo ancora insieme?
– Io sono ancora con te.
– Ma stai con lui.
– E tu stai con lei.
– Ma sono con te.
Lei sospirò:
Non fa niente.
Siamo andati oltre il nostro amore.
– Non lo so.
Siamo ancora qui.
– Non siamo più quelli che eravamo.
– Hai ragione.
Hai i capelli più lunghi.
Finalmente lei rise.
E lui non riuscì a non dirglielo:
Il tuo sorriso è sempre lo stesso,
però.
Il suo sguardo si fece serio
in quello di lui:
Anche la tua capacità di farmi sorridere è sempre la stessa.
– Vuoi sapere la verità?
– Sì.
– Anche il mio amore per te è rimasto lo stesso.
– Vuoi sapere la verità?
– Sì.
– Li vedi i miei occhi?
Si guardarono.
– Li vedo.
– Non lo capisci?
– Che cosa?
– Hai detto che ti guardavano con un amore sconfinato.
– Sì.
– Neanche loro sono cambiati.
Ti stanno guardando ancora così.

W.Whitman

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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Le metamorfosi di Piktor. Una favola d’amore di Hesse

Questa favola di Hermann Hesse descrive, attraverso l’uso della metafora dell’albero, che ogni forma diventa completa se si unisce ad un altra. Si può vivere benissimo da soli ma prima o poi ci si confronta con la mancanza di una persona da amare che permette di completare la nostra esistenza.

Piktor era appena entrato in Paradiso, quando si trovò di fronte ad un albero, che era nel contempo uomo e donna. Piktor salutò l’albero con riverenza e gli chiese: “ Sei tu l’Albero della Vita?” Siccome, tuttavia, il serpente pretendeva di rispondergli al posto dell’albero, egli volse le spalle e se ne andò. Era tutto occhi, gli piaceva tutto così tanto. Percepiva chiaramente di trovarsi a casa sua, presso la sorgente della vita.
E di nuovo vide un albero, che era nel contempo sole e luna.
Piktor disse: “Sei tu l’albero della vita?”.

Il sole annuì e rise, la luna annuì e sorrise.
I fiori più meravigliosi lo guardarono, con svariati colori e luce, con occhi e visi diversi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e sorridevano, altri ancora né annuivano, né sorridevano. Tacevano ebbri, immersi in se stessi, come affogando nel proprio profumo. Uno cantava il canto lillà, un altro cantava la ninnananna blu scura. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il suo primo amore. Uno odorava di giardino dell’infanzia, come la voce della madre, il suo dolce buon odore. Un altro gli sorrideva e tendeva verso di lui una curva lingua rossa. Lui la leccò, essa aveva un sapore forte e selvaggio, sapeva di resina e miele e anche del bacio di una donna.
Tra tutti i fiori Piktor s’aggirava pieno di nostalgia e gioia inquieta. Come se fosse una campana, il suo cuore batteva forte; bramava l’ignoto, incerto era il suo desiderio.
Piktor vide un uccello, lo vide seduto nell’erba, raggiante di colori, sembrava che possedesse tutti i colori. Chiese al bell’ uccello variopinto: “ Oh uccello, dov’è la felicità?”
“La felicità?”, rispose il bell’uccello e rise con il suo becco dorato, ” la felicità, amico mio, è dappertutto, nelle montagne e nelle valli, nei fiori e nei cristalli.

Con queste parole l’uccello felice scosse le sue piume, tirò il collo, agitò la coda, strizzò l’occhio, rise di nuovo, poi rimase seduto immobile, seduto tranquillamente nell’erba, ed ecco: l’uccello era diventato un fiore colorato, piume, foglie, artigli e radici. Nella brillantezza dei colori, danzando, divenne una pianta. Piktor lo guardò con meraviglia.
Subito dopo il fiore uccello mosse le sue foglie e gli stami, già si era stancato di essere un fiore, non aveva più radici, si moveva leggero, pendeva lentamente all’insù e già – era diventato una splendente farfalla, che si cullava sospesa, senza peso, tutta luce, con un viso completamente luminoso. Piktor si stupì molto.

Ma la nuova farfalla, la gioiosa e variopinta farfalla uccello fiore con il volto colorato e luminoso volava in cerchio attorno a Piktor, brillò al sole, si fece cadere a terra come un fiocco, rimase ferma davanti ai piedi di Piktor, respirò delicata, tremò un po’ con le ali splendenti, ed ecco che si trasformò in un cristallo colorato, dal quale brillava una luce rossa. La rossa pietra preziosa splendeva meravigliosamente tra l’erba verde e le piante, chiara come delle campane in festa. Il suo regno, però, la profondità della terra, sembrava che la chiamasse; velocemente cominciò a diventare sempre più piccola, minacciando perfino di sparire. Allora Piktor, spinto da un insaziabile desiderio, si avvicinò alla pietra e la portò a sé. Con entusiasmo, egli fissò lo sguardo nella sua luce magica che sembrava riempirgli il cuore con un presentimento di beatitudine. All’improvviso, strisciando sul ramo di un albero secco, il serpente gli sibilò nell’orecchio: “La pietra si trasforma in tutto ciò che vuoi. Svelto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!
Piktor si spaventò, temendo di perdere la sua felicità.
Velocemente disse la parola e si trasformò in un albero.
Ecco, proprio questo aveva desiderato da sempre, essere un albero. Gli alberi sembravano così pieni di calma, forza e dignità.
Piktor era diventato un albero. Crebbe con le radici nella terra, si alzò verso il cielo, foglie e rami crescevano dalle sue membra e lui fu molto soddisfatto di ciò.

Egli era molto felice. Succhiò con fibre assetate profonde nella terra fresca e soffiava con le sue foglie in alto nel blu. I coleotteri vivevano nella sua corteccia, ai suoi piedi vivevano lepri e tartarughe, nei suoi rami gli uccelli. L’albero Piktor era contento e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima di rendersi conto che la sua felicità non era perfetta. Lentamente imparò a vedere con gli occhi da albero. Alla fine si vide e diventò triste.

Infatti, egli vide che intorno a lui, in paradiso, la maggior parte degli esseri si trasformava molto spesso, che tutto scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide i fiori diventare pietre preziose o volare via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più di un albero scomparire all’improvviso: uno si era sciolto in una fonte, un altro era diventato un coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento con grande piacere, come un pesce allegro guizzando, inventando nuovi giochi in nuove forme. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori. Lui invece, l’albero di Piktor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui scoprì questo, la sua felicità svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell’aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: Quando non possiedono più il dono della trasformazione, prima o poi sprofondano nella tristezza e nell’abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dal vestito azzurro si perse in quella parte del Paradiso. Correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione.
Più di una furba scimmia sorrise alle sue spalle, più di un cespuglio la sfiorò teneramente con un virgulto, più di un albero le gettò un fiore, una noce, una mela senza che lei vi badasse.
Quando l’albero Piktor vide la fanciulla, sentì una grande nostalgia, un desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo cominciò a riflettere, era come se il suo stesso sangue gli gridasse: “Ritorna in te ! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità.
Ed egli obbedì. Si ricordò delle sue origini, dei suoi anni da uomo, del suo ingresso nel Paradiso, e specialmente di quell’attimo, prima che diventasse un albero, quell’attimo meraviglioso in cui aveva tenuto in mano la pietra magica.
Allora, mentre ogni cambiamento gli era aperto, la vita era stata ardente in lui come non mai! Egli pensò all’uccello, che aveva riso, all’albero con il sole e la luna; gli venne l’idea che aveva omesso qualcosa, dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono.

La ragazza sentì un fruscio tra le foglie dell’albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì muoversi dentro di lei, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri,nuovi desideri, nuovi sogni. Attratta da una forza sconosciuta si sedette sotto l’albero. Esso le appariva solitario e triste, ma anche bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido e sentì l’albero rabbrividire profondamente. Sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?

L’albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale e si protendeva verso la ragazza in un ardente desiderio di unione. Perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così per sempre solo in un albero! Oh come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero, allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto della vita? No, anche allora l’aveva oscuramente sentito e presagito e con dolore e profonda comprensione pensò ora all’albero che era fatto di uomo e di donna!
Un uccello rosso venne volando, un uccello verde e rosso, un uccello ardito e bello, descriveva nel cielo un cerchio. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò di rosso come il sangue rosso, come la brace, cadde tra le verdi piante e splendette di tanta familiarità tra le verdi piante. Il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino ed intorno ad esso non ci poteva essere oscurità.

Non appena la fanciulla ebbe la pietra fatata nella sua bianca mano, si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt’uno con l’albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine solo ora era stato trovato il paradiso.
Piktor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Piktoria, Viktoria.
Egli fu trasformato. Perché questa volta aveva raggiunto la giusta, l’eterna trasformazione, perché da una metà era diventato l’intero. D’ora in poi avrebbe potuto trasformarsi quanto volesse. Continuamente scorreva il flusso incantato del divenire attraverso il suo sangue, eternamente prendeva parte al creato che sorgeva ogni ora nuovo.
Egli diventò capriolo, diventò pesce, diventò uomo e serpente, nuvola e uccello. Ma in ogni forma era completo, era una coppia, aveva la luna e il sole, aveva in sé il maschio e la femmina, scorreva come un fiume gemello attraverso le terre, stava come una duplice stella nel cielo.

Eros Ramazzotti ha raccontato questa storia in una sua camzone “FAVOLA”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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