Relazioni tra reale e irreale – L’intimità virtuale del film “Her”

Oggi più che mai, in un periodo di forzato isolamento e di distacco dagli affetti e dalle relazioni vis a vis, il ruolo della tecnologia e dei social assurge a strumento primario e necessario per contrastare gli effetti della solitudine. I suoi meccanismi e contraddizioni però portano spesso a interrogarsi sugli effetti nella vita reale e nell’equilibrio psicologico delle persone e sulla loro natura di effettivi facilitatori o creatori di un sistema illusorio di relazioni (im)produttive.

Tra i film che meglio analizzano l’evoluzione del nostro rapporto con il virtuale sicuramente “Her” è uno degli esempi di maggior rilievo. Uscito nel 2013 ,“Her” è un film diretto e scritto da Spike Jonze con protagonista Joaquin Phoenix e vincitore del Premio Oscar alla miglior sceneggiatura. Ambientato in un futuro non troppo lontano in cui i computer sono ancora più parte integrante della quotidianità, segue le vicende di Theodore, che per lavoro scrive lettere per conto di altri dettandole al pc. Proprio la sua occupazione, in cui si ritrova a esprimere sentimenti altrui, denota la sua particolare sensibilità e profondità nel vivere i rapporti. A farne da controparte vi è però la sua difficoltà nel relazionarsi ad altre persone e mostrare i suoi sentimenti e i suoi pensieri più profondi.

Uomo solitario e alle prese con un matrimonio da poco finito, Theodore decide di provare un nuovo sistema operativo molto avanzato, scegliendo una voce di interfaccia femminile. Samantha, questo il nome della voce del sistema, ha una straordinaria capacità di apprendimento e di evoluzione e inizia ad instaurare un rapporto sempre più profondo con il giovane scrittore. Capace di un vero e proprio sviluppo psicologico, il sistema operativo (la cui voce nella versione originale è di Scarlett Johansson) riesce pian piano a rimettere in piedi Theodore consentendogli di affrontare la rottura con Catherine, la sua ex moglie, e di uscire dalla malinconia e apatia che lo avevano completamente avvolto. La fine del suo matrimonio lo porta a prendere coscienza dei suoi limiti e a concentrarsi su quanto una relazione sana richieda anche spirito di sacrificio e compressi.

Theodore e Samantha iniziano così una inusuale storia d’amore, tra materiale e immateriale, in cui l’affinità intellettuale supera anche la mancanza di un corpo. In una Los Angeles sempre più connessa, in cui altissimi grattacieli e skyline fatti di luci fanno da sfondo alle passeggiate romantiche dei due, non si può fare a meno di riflettere su quanto la tecnologia si ritagli un posto sempre più grande nelle nostre vite andando a colmare inevitabili vuoti relazionali. Sempre più connessi ma sempre più distanti, questo sembra il messaggio di Jonze, quanto mai attuale. Deleghiamo ogni giorno di più il nostro mondo affettivo alla tecnologia; ormai anche la conoscenza avviene su app di incontri supportando così le nostri relazioni in maniera solo apparentemente innocua.

Oltre al lato virtuale, la relazione tra Theodore e Samantha è contraddistinta dalla piena dedizione da parte di quest’ultima nei confronti dello scrittore. Essa infatti è plasmata in base alle sue preferenze e ai suoi dati, dunque in funzione del suo fruitore. Se da una parte questo è ciò che serve al protagonista per avanzare negli stadi della separazione e accettazione del divorzio, si configura però con tutti i limiti dovuti alla diversa essenza e linguaggio dei suoi componenti. Un rapporto amoroso sano infatti ha bisogno di superare le aspettative e proiezioni che il virtuale per sua stessa natura riesce a creare e esaltare.

Il finale del film rivela un punto di vista molto più in favore dell’importanza del coltivare rapporti umani sinceri, per quanto difficile in un mondo connesso ma solitario, con tutto l’impegno e la capacità di entrare realmente in contatto e prendere coscienza di sé che ne consegue. Spunto di riflessione e occasione per porsi qualche domanda, “Her” è una pellicola intima e delicata sull’essenza dell’amore e sulla libertà che lo circonda superando le tendenze al controllo in una società dove tutto sembra dover rientrare all’interno di schemi predefiniti.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

per contatti: miriamreale.mr@gmail.com

Il rapporto uomo donna nella trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni

L’evoluzione del rapporto umano e la precarietà dei sentimenti descritta da uno dei più grandi registi italiani

Tra il 1960 e il 1962 il maestro Michelangelo Antonioni dirige quella verrà poi definita la trilogia dell’incomunicabilità composta da “L’Avventura”, “La notte” e “L’Eclisse”. A quasi sessant’anni di distanza possiamo però ancora rintracciare tanti elementi di modernità in queste opere, tra le prime ad affrontare tematiche come l’alienazione e il disagio esistenziale e la critica verso il mondo borghese del post boom economico.

Il cinema riflessivo e esistenzialista del regista mette al centro di queste opere tre storie d’amore che descrivono la difficile comunicazione tra uomo e donna e l’eclissarsi dei loro sentimenti. Tutte e tre le vicende vedono come protagoniste delle relazioni non equilibrate, in crisi, dove è generalmente il partner femminile nella posizione più scomoda e sofferente ma anche di maggiore sensibilità e spessore umano. La figura maschile è invece rappresentata in un’accezione più mediocre, arida, a volte anche cinica, ma soprattutto con lo sguardo rivolto al proprio sé, incapace dunque di provare un reale affetto verso la propria compagna. Non a caso il regista dichiara: “Do sempre molta importanza ai personaggi femminili, poiché credo di conoscere meglio le donne degli uomini. Penso che attraverso la psicologia delle donne si possa filtrare la realtà, Esse sono più istintive, più sincere.”

Ne “L’Avventura”, Anna giovane donna in crisi con il fidanzato Sandro scompare durante una gita alle isole Eolie. Durante la sua ricerca e nei giorni seguenti, Claudia, amica di Anna, e Sandro scoprono di provare un’attrazione reciproca. Nonostante le iniziali ritrosie di Claudia, che vive con il costante senso di colpa nei riguardi dell’amica, alla fine i due passano dall’avventura ad una vera e propria relazione. Ma, la notte stessa della loro prima uscita ufficiale come coppia, Sandro si concede una “distrazione”. Claudia però, nonostante il suo cuore spezzato, perdona l’uomo.

Come le altre figure femminili della trilogia, Claudia si interroga sul proprio sentimento e finisce per venirne travolta, cercando costantemente conferme nell’amato Sandro. Quest’ultimo con la stessa velocità con la quale dimentica la sua iniziale storia con Anna, passa dal dichiarare amore a Claudia al divertirsi con la conquista della serata. Tutto ciò sottolinea l’evolversi verso una precarietà e caducità dei sentimenti che fanno posto a parole e promosse ormai vuote. Come riflette Claudia sul treno, tutto cambia e viene dimenticato in fretta, nulla resta.

Anche ne “La Notte” ritroviamo una coppia formata da Giovanni, scrittore di successo, e la moglie Lidia. La vicenda si svolge tutta all’interno di una giornata in cui i due inizialmente fanno visita ad un amico molto malato in ospedale e poi, alla sera, partecipano ad una festa in una villa di un grande industriale. L’unione della coppia si presenta da subito instabile: Giovanni, interpretato dal grande Mastroianni, è spento e indifferente nei confronti della moglie, la quale a sua volta si rende conto di non riuscire a provare più coinvolgimento per il marito, preferendo la solitudine come conforto. Giovanni, nonostante si accorga della melancolia della compagna, ricerca una fugace distrazione nella giovane Valentina (interpretata dalla magnifica Monica Vitti, qui un ruolo marginale rispetto agli altri due titoli).

Il dialogo dei due nel finale del film rappresenta l’ennesimo e disperato tentativo di recuperare un rapporto ormai alle sue ceneri. Giovanni ammette di non aver investito davvero sé stesso nella relazione, di non essere riuscito a dare e soprattutto a donarsi nel senso profondo della parola, forse perché anch’egli troppo centrato sul proprio ego per riuscire a concepire un reale rapporto a due. L’amore ha però così lasciato spazio al dolore, è diventato un eco lontano e sbiadito, e il rapporto sessuale che ne segue appare ormai vuoto, un disperato tentativo causato solo dal terrore della solitudine e dell’inevitabile confronto con sé stessi che ne seguirebbe.

La trilogia si chiude con “L’Eclisse”, film che inizia con la protagonista Vittoria che termina la relazione con il suo compagno architetto, un addio freddo che lascia nella donna un senso di solitudine e apatia. A seguito di questa rottura Vittoria conosce Piero, un giovane e cinico agente di borsa interpretato da Alain Delon.

Il rapporto dei due, per quanto passionale, si caratterizza per la mancanza di sentimento e di un sincero contatto. Vittoria continua sempre a sentire un senso di estraneità nei confronti di Piero, così lontano e con un approccio molto più materialista nei confronti della vita. La comunicazione tra i due può avvenire soltanto a livello fisico per poi, incapace di creare un legame interiore, dissolversi lasciando solo il vuoto dei loro luoghi, come dimostrano gli ultimi significativi minuti della pellicola in cui le intense inquadrature della città si susseguono come a materializzare un’assenza.

Questa bellissima trilogia di Antonioni ci porta a riflettere sul significato dell’amore e sul suo manifestarsi, inteso quasi come un’illusione sterile che lascia intorno un alone di profonda solitudine. La distanza tra l’uomo e la donna si mostra troppo grande per essere colmata e anche il perdono, simboleggiato dalla mano di Claudia sulla spalla di Sandro nel finale de “L’Avventura”, emerge come una passiva accettazione di una fragilità umana insormontabile.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

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“L’Amore ai tempi del colera”: Quando l’amore romantico riesce a sopravvivere al tempo, al dolore e alle epidemie

L’amore ai tempi del colera, trasposizione cinematografica dell’omonimo e celebre romanzo dello scrittore colombiano Gabriel Garcia Márquez, racconta in modo esemplare di come l’amore possa diventare una ragione di vita. L’opera dell’autore premio Nobel per la letteratura ebbe un enorme successo di pubblico e ancora oggi è una dei romanzi più tradotti al mondo.

Ambientata a Cartagena, la storia ha come protagonisti Florentino Ariza, poeta che lavora come telegrafista e che si innamora a prima vista di Fermina Daza, giovane figlia di un mercante appena arrivato in città. Tra i due nasce una relazione epistolare in cui il giovane Florentino dichiara alla ragazza tutto il suo appassionato amore inizialmente ricambiato. Il padre di lei, però, si oppone alla relazione e decide di dividerli mandando la figlia a vivere con la cugina. Il rapporto dei due prosegue attraverso uno scambio di telegrammi sullo sfondo della Guerra Civile e della diffusione di un’epidemia di colera. Al rientro a Cartagena la ragazza però rifiuta Florentino spezzandogli il cuore per poi andare in sposa al famoso medico Juvenal Urbino.

Márquez descrive, in quello che lui aveva chiamato il “romanzo dei vecchietti”, l’amore in tutte le sue forme e sfaccettature. Quello di Florentino è un amore profondo e infinito che non si ferma davanti alle sofferenze, ai rifiuti e al tempo. Egli continua ad amare Fermina passando la sua vita a disperarsi e a cercarla nel volto e nel corpo delle sue numerosi amanti, consumandosi nella speranza di tornare a essere contraccambiato. Il sentimento che nasce in lui è quasi al limite della patologia e forse per questo, nel romanzo, i suoi effetti vengono da lui accostati ai sintomi del colera, con stati febbrili che lo portano a compiere azioni folli e dissennate. Il sentimento romantico ha il potere di sconvolgergli la vita e afferrarlo con la stessa presa furiosa della malattia.

Fermina, donna forte ed indipendente, riconosce la precocità del suo sentimento verso l’innamorato telegrafista preferendogli la stabilità del rapporto con il ricco medico. Il loro matrimonio non si basa su un amore passionale e dunque travolgente, bensì sull’equilibrio e sulla sicurezza della loro unione che si trasforma in dedizione e devozione verso la famiglia. Abbiamo quindi da parte un uomo innamorato dell’amore, poeta sempre più intellettuale e raffinato, e dall’altra un uomo di scienza, razionale e progressista.

È proprio questo dualismo tra passione e razionalità, follia romantica e lucido affetto, un dissidio che ognuno di noi probabilmente può dire di aver sperimentato almeno una volta nella vita, alla base della storia e della scelta di Fermina. È meglio scegliere con il cuore un amore passionale o con la testa un compagno di vita?

Il meccanismo psicologico che si instaura in Florentino è quello di un amore platonico che proprio perché non vissuto nella sua concretezza e quotidianità diviene un amore perfetto, ineguagliabile, a seguito del quale egli rifiuta tutte le altre occasioni reali di instaurare un rapporto duraturo con un’altra donna. Si rifugia così nel campo delle illusioni e in questo sentimento ideale che proprio per la sua natura chimerica non avrà mai fine.

Alla fine, la tenace resistenza di Florentino sarà premiata e dopo “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni” riuscirà a coronare il suo sogno d’amore, un amore unico e allo stesso tempo universale, dal quale è impossibile non lasciarsi contagiare.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

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Storia di un Matrimonio: Un film sul divorzio e di una famiglia che resta unita.

Un ritratto dolce della crudeltà di un divorzio

Guardare “Marriage Story” è un po’ come voltarsi indietro. Ci si ritrova a fare i conti con i fallimenti e le separazioni affrontate, a risentire quel sapore amaro delle accuse e dei sensi di colpa mai dimenticati.

Tutto ciò accade perché dentro questo film si nasconde tanta realtà: è una vicenda essenziale e devastante come tante vissute in prima persona o a cui abbiamo assistito da vicino. Ed è per questo che, anche se di matrimoni o relazioni d’amore finite male il grande schermo è pieno, per tutta la durata del film sentiamo di appartenere anche noi a questa storia, quella di due persone alle prese con le varie fasi della rottura e del conseguente divorzio. Come in ogni separazione o lutto, assistiamo al lento e doloroso passaggio del dolore, della rabbia e della difficile accettazione attraverso la messa in scena del meglio e del peggio dei due protagonisti e dell’evoluzione del loro sentimento.

Non è importante capire chi tra Nicole, attrice di Los Angeles alla ricerca della propria strada, e Charlie, newyorkese regista teatrale di successo, abbia ragione o sia meno crudele. Quello che conta è che, grazie alle loro straordinarie interpretazioni, Scarlett Johansson e Adam Driver riescono ad emozionare con un prodotto d’indubbio spessore, un ritratto mai esagerato e artificioso, rischio sempre molto elevato nelle sceneggiature a sfondo amoroso, figlio di un’appassionata interpretazione, profonda e delicata come le loro voci.

Il regista candidato all’Oscar Noah Baumbach segue una narrazione molto compassionevole, non infierisce troppo, si avvicina con rispettosa dolcezza per poi prendere le distanze, proprio come i due protagonisti della storia, apparentemente mossi dalle migliori intenzioni e infine pedine nelle mani di feroci avvocati.

Un film con questo carico emozionale si aggrappa voracemente alla bravura dei due attori che contribuiscono a conferire ai loro personaggi una caratterizzazione molto tratteggiata e ricca di pathos, una prova su tutte è la toccante scena cantata di Adam Driver.

Tutti i piccoli dettagli della quotidianità di una coppia e delle conseguenze del suo sfacelo, accompagnate da un’indiscussa volontà di unità familiare, ardua da mantenere all’interno di un contesto di rivincita dei propri sé, trovano spazio in una sceneggiatura precisa e attenta a tutte le complesse sfumature emozionali e per questo punto di forza dell’intero film.

La storia del matrimonio di Nicole e Charlie ci porta ad accettare come un sentimento d’amore, per quanto profondo e denso di tappe condivise, possa con il tempo mutare e prendere nuove forme non sempre capaci di continuare a sostenere un rapporto di coppia. L’amore si trasforma lasciando ai due la consapevolezza di dover tornare a lottare per una nuova affermazione nel mondo, questa volta come entità singole, processo doloroso ma necessario alla loro stabilità interiore.

“Marriage Story” è un film da vedere per emozionarsi in maniera sincera, tra sorrisi e lacrime, come in ogni tragicommedia o matrimonio che si rispetti.

Dottoressa Miriam Reale

Giornalista e studiosa di cinematografia

per contatti: miriamreale.mr@gmail.com

Nei primi 7 minuti di Storia di un matrimonio, Noah Baumbach lascia che i due protagonisti del film, Nicole (Scarlett Johansson) e Charlie (Adam Driver), parlino uno dell’altro con sincerità e affetto, sottolineandone pregi e difetti. Un dolcissimo momento di un matrimonio che sta per finire.