Tutta la nostra vita è una lotta per affermare quel qualcosa che ci sfugge, e per poter lottare dobbiamo imparare a sentire sulle nostre spalle il peso dell’assenza dell’altro. Io credo che nessuna terapia, nessuna esperienza consenta di eliminare questo senso di vuoto che l’amore, illudendoci, ci promette di riempire. Quando crediamo che il vuoto sia stato abolito, è probabile che stiamo ingannando noi stessi. Infatti, per quanto l’altro possa corrispondere al nostro desiderio inconscio, il bisogno di totalità è talmente smisurato che nessuna esperienza lo potrà realmente colmare. Il destino strutturale della nostra vita è imparare a sopportare la privazione e anche la delusione della persona che ci è accanto: quale che essa sia, qualunque cosa possa rappresentare o aver rappresentato per me, esprime comunque un’assenza. Possiamo dire che ogni dimensione amorosa mette in scena un mito; ogni volta che ci troviamo in questo vissuto noi “insceniamo” qualcosa: la totalità perduta che rimanda ai momenti precoci della nostra esistenza oppure il cosiddetto desiderio della completezza e- fatto ancor più doloro – l’essere sempre pronti a rinnovare questo senso di vuoto. Infatti, per quanto io possa amare un altro e per quanto questo possa a sua volta ricambiare i miei sentimenti, in ogni rapporto continua a esistere la possibilità di perdere la persona amata. È questo timore che si rinnova con più forza ogni volta che si crea una nuova relazione, anche se il sentimento che si è riusciti a creare offre continuamente un modo di controllare la perdita. Ma la perdita ci riconduce al desiderio.
Il desiderio è acceso dalla mancanza di qualcosa che mi appare vitale e verso la quale sono spinto a muovermi. Nella dimensione amorosa l’assenza insedia l’altro prepotentemente nel mio mondo interiore. Quando l’altro non c’è, riesce a riempire tutta la nostra esistenza. Nell’assenza egli diventa quello che Leopardi chiamava il “pensiero dominante”.
Siamo ossessionati dalla sua immagine ed è sempre un’immagine parziale quella che torna alla mente: quell’ immagine particolarissima che ci ha catturato e che ora riempie il vuoto lasciato dalla sua scomparsa. […]
D’altra parte, in questa particolare e pur singolare situazione psicologica è come se il nostro immaginario, il potere cioè che abbiamo di creare immagini e non essere soltanto passivi di fronte a esse, ci permette di essere, per così dire, creativi, perché allora è il nostro bisogno a dar vita a delle immagini che, se pur distanti dalla realtà, esprimono la nostra stessa possibilità di creare qualcosa, di dargli vita e di riconoscere in esso tutto un mondo fantastico.
Se il desiderio è per definizione insoddisfatto, quando amiamo noi torniamo a sperimentare in modo abbastanza vivo il senso di solitudine. In noi c’è una spinta per la totalità, un andare verso la perfezione, al punto che in certe persone, per esempio i mistici, l’amore ideale si rivolge a Dio e non alle cose terrene. A queste conclusioni giungiamo con tristezza, perché è chiaro che su queste cose noi tendiamo a illuderci, ed è anche giusto che sia così; ma, di fatto, la dimensione amorosa è sempre un’esperienza di assenza, e l’assenza ha a che fare con la nostalgia.
Io penso che la nostalgia e il vissuto dell’assenza coincidano col significato della nostra vita. È come se noi, durante il percorso dell’esistenza, sperimentassimo continuamente un’insoddisfazione profonda, nonostante tutto quello che riusciamo ad afferrare. C’è un senso di illimitato che ci muove, ma quello che riusciamo ad afferrare è limitato e allora, anche se guardiamo fisso negli occhi l’essere che amiamo, in quel momento possiamo leggere forse reciprocamente la nostalgia nei nostri sguardi.
Da: Aldo Carotenuto, Eros e pathos. Margini dell’amore e della sofferenza, Bompiani, Milano 2002 [1987], pp. 40-41.
Anche se in questi ultimi anni lo si è fatto piuttosto spesso, è sempre scabroso trattare il tema * amore ‘. perché c’è di mezzo il corpo oltre allo ‘ spirito ‘, e a quanto pare col corpo, malgrado tutte le rivalutazioni e riappropriazioni, continuiamo a non avere molta confidenza.
È un’impresa da sconsiderati, anche perché l’amore è un fenomeno che osservato dall’interno, ossia dal punto di vista di chi ama, presenta aspetti assolutamente ‘non rilevabili all’osservazione esterna; .il che significa che il materiale di documentazione più attendibile e significativo ci può venire solo da quel punto di vista privilegiato. Ora, se è vero che si tratta di un’esperienza che abbiamo fatto tutti, non è meno vero che una volta che ne siamo fuori, diciamo pure negli intervalli visto che ‘siamo tutti recidivi, ci succede non dico di rimuovere ma certamente di mutilare e alterare il ricordo di quell’esperienza, secondo i me-diocri bisogni e disegni del ‘ senno di poi ‘. Un mio paziente diceva che in genere noi viviamo ‘la brutta copia della nostra vita, tranne ‘che quando amiamo: perché in quel caso la brutta copia la scriviamo dopo.
Per fortuna c’è un’altra categoria di ‘ sconsiderati ‘ che da almeno ventisette secoli si è assunta il compito di abolire lo scarto tra esperienza e ricordo: i poeti. Certo per dargli credito in questo senso non bisogna coltivare l’immagine del poeta come visionario, e nemmeno come veggente nel senso paranormale del termine, ma quella del poeta come esperto nell’arte di fermare e calare in parole ‘l’ineffabile, o meglio ciò che fino a quel momento appariva tale; capace perciò di offrirci, a distanza magari di millenni, una sorta di ‘ presa diretta ‘, coinvolgente ‘e drammatica ma anche straordinariamente illuminante.
A me beato sembra come un dio l’uomo che siede a tè dinanzi,
ed ode da vicino le tue dolci parole
ed il tuo dolce riso amoroso. E subito nel petto sbigottisce il mio cuore:
se io ti vedo solo un istante, subito la miavoce si spegne.
Mi si spezza la lingua, ed una fiamma sottile mi trascorre per le membra,
ed io non vedo nulla più con gli occhi; romban gli orecchi.
Freddo sudor m’inonda, ed un tremore tutta mi prende,
e più verde dell’erba io sono, e non mi sembra esser lontana dalla mia morte…
In questo ‘ carme lirico ‘ di Saffo ci sono quasi tutti gli aspetti che ci troveremo a trattare nel corso delle nostre riflessioni sull’amore. In primo luogo c’è un’adesione immediata, che è una caratteristica fondamentale dell’esperienza amorosa: un sentirsi, di fronte alla persona che si ama, senza alcuna possibilità di resistere, un dire di sì a tutto quello che vediamo davanti a noi, privi di qualsiasi atteggiamento critico. La persona di cui ci innamoriamo ci cattura con una immediatezza che non troviamo in nessun’altra esperienza. È come se fossimo in uno stato ipnotico, nel quale la persona che suscita in noi la condizione ipnotica ci comunica qualcosa che forse abbiamo sempre so-spettato di poter conoscere, di poter godere ed afferrare. La caratteristica fondamentale è dunque un’immediata « partecipazione all’altro », con un carattere che potremmo definire compulsivo: il nostro ‘investimento amoroso ci spinge coattivamente in una precisa direziono. Fiatone parlava addirittura di « delirio divino », che è la dimensione dell’estasi. Ricordiamo le prime parole del frammento di Saffo: « A me beato sembra come un dio l’uomo che siede a tè dinanzi… ». Di fronte all’amato l’amante prova un ‘senso di incredibile pienezza e, contemporaneamente, ha la sensazione di aver vissuto fino a quel momento in una condizione di privazione. La funzione dell’amore è proprio quella di riempire un vuoto nella nostra esistenza e questa possibilità è testimoniata dalla sensazione di turbamento che ci provoca la vista della persona amata. È un turbamento particolarissimo, che implica uno spostamento di forze all’interno del nostro vissuto esistenziale. C’è qualcosa che si muove, qualcosa che non è altro che il poter catturare, il poter estrarre dall’altro una dimensione che permette di andare a coprire quel senso di vuoto che ha caratterizzato la nostra esistenza fino a quel momento. La nostra esperienza sembra dirci che è qualcosa di esterno a catturare noi, qualcosa verso cui va il nostro sguardo, ma la verità è che l’esperienza amorosa vive di ciò che accade in noi. Guardare l’oggetto del nostro amore significa ricevere qualcosa. Quello che io vedo ha significato perché evoca e muove all’interno di me stesso delle dimensioni importanti. Si può anche dire che, da un certo punto di vista, l’altro non può essere classificabile perché si ‘implicherebbe la conoscenza dell’altro: nell’esperienza amorosa c’è qualcosa di incomprensibile. Per tutta la durata dell’amore i! nostro tentativo di porci di fronte a questo oggetto pieno di mistero e di fascino è in realtà il tentativo di farlo uscire da ciò che non è chiaro. Io rimango innamorato fino a quando l’altro non è afferrabile nella mia dimensione spirituale. C’è qualcosa che mi spinge a interrogarmi sul significato di quel volto. L’amato diventa così una figura che spinge alla ricerca di una mia verità interiore. E qui tocchiamo un elemento essenziale:
la persona che amo, sulla quale riverso tutta la mia energia, diventa quella che possiamo chiamare la trasparenza del mondo (1). Questo è secondo me uno dei fenomeni più belli della dimensione amorosa che, attraverso questa esperienza della trasparenza del mondo, ci permette di capire veramente la realtà esterna, lo sono tagliato completamente fuori dagli altri, sono tagliato fuori dal mondo dello spirito e delle cose, se non ho vissuto almeno una volta ‘l’esperienza della dimensione amorosa. Infatti, attraversando questa dimensione, si illumina di significato qual-siasi aspetto dell’esistenza, sia fisica che psichica:
ciò avviene solo a condizione che io sia « rapito » da un personaggio che non riesco a inquadrare e che, come un pensiero dominante, orienta incessantemente nella sua direzione la mia vita psichica. L’oggetto d’amore più bello è quello che non si riesce a definire, « l’oscuro oggetto del desiderio »: esso non si lascia ridurre, esaurire o banalizzare nel rapporto. La nostra capacità di mantenere viva un’esperienza d’amore sia nel riuscire a rendere continuamente nuova l’esperienza proprio grazie a quell’arricchimento interiore che ci ha consentito il rapporto stesso. La vitalità che noi sentiamo quando amiamo deriva dal fatto che attingiamo nuove forze che ci spingono, rispetto all’altro, in una dimensione diversa da quella usuale in cui siamo quando non amiamo. Ecco perché amare è così « stressante ». Da un certo punto di vista amare è un autentico lavoro psicologico. II più impegnativo che esista, proprio perché esso fa scattare in noi una nuova possibilità di conoscenza del mondo. Allora, se si vive per venti o trenta anni in un clima di mancanza d’amore, nel momento in cui si incontra questa dimensione si deve imparare di nuovo a conoscere un mondo che sembrava ormai familiare e d’un tratto ha assunto una fisionomia diversa. Questa diversità è dovuta al fatto che il catturare dall’altro una dimensione che mi mancava ha reso me diverso, e ora i miei stessi occhi ‘sono diversi, la mia stessa capacità di vivere quell’esperienza è diventata diversa.
« E subito nel petto / sbigottisce il mio cuore: se io ti vedo / solo un istante, subito la mia voce si spegne ». « Solo un istante » e « subito »: questa immediatezza, questa fulmineità nel cambiare radicalmente la mia intera visione della realtà è un’altra caratteristica dell’esperienza amorosa. C’è ‘come un ritmo del desiderio che prende a pulsare dentro di noi e la persona che abbiamo accanto acquista un significato mutevole e sfuggente, in quanto cambia la nostra dimensione interna — perché acquisisce forza dall’altro —’e tale cambiamento diventa uno stimolo a capire di più. Tutto questo però avviene con dei ritmi particolari, il ‘nostro desiderio è scandito dalla presenza dell’altro. E in questo momento, poiché entra in scena il desiderio, il corpo prende il sopravvento. Quando guardiamo gli occhi della persona che amiamo, quando contempliamo l’altro, in realtà cerchiamo di riconoscere segni che forse abbiamo già conosciuto nel nostro passato e, se non li riconosciamo, cerchiamo di dare a quel volto un nuovo significato; e dare al volto dell’altro un nuovo ‘significato vuoi dire fare entrare nell’esperienza amorosa la dimensione corporea.
Saffo ci dice « … la mia voce si spegno »: noi veniamo turbati dal desiderio, e con la voce è l’intera realtà che si spezza. Anche questo è un aspetto peculiare dell’esperienza amorosa: la realtà esterna così vistosa e ingombrante fino a questo momento, si defila e scompare, e al suo posto, come cambia la scena su un palcoscenico girevole, si insedia una realtà fantastica, un nuovo universo al centro del quale stanno le due persone coinvolte in quel rapporto amoroso.
Dal loro punto di vista quell’universo è l’unico plausibile; ma solo da quel punto di vista, come c’è un solo punto dal quale ognuno delle due braccia di quell’immenso pronao della basilica di San Pietro che è il colonnato del Bernini appare composta da un’unica fila di 32 colonne anziché da 32 file di quattro colonne ciascuna. Per tutti gli altri, per tutti quelli che ovviamente non possono vedere ‘le cose da quell’angolazione così particolare il mondo di coloro che si amano è aberrante e inesplicabile. E questa è l’inevitabile violenza a cui ci esponiamo nel momento in cui siamo rapiti dalla dimensione amorosa. Ma in fondo è bene che ‘almeno l’amore ci ‘costringa a fare anche solo una volta nella vita questa salutare esperienza di non essere più in sintonia con gli altri, e perciò di non riuscire a comunicare — se non con il linguaggio dell’arte, della poesia, che coi suoi misteriosi poteri al-chemici riesce a trasformare in parole l’ineffabile.
Capire di non essere capiti è sempre un’esperienza inquietante, ma anche esaltante, perché ci fa sentire finalmente di esistere sul serio, unici al mondo, ‘ individui ‘. Se poi è ‘l’amore a ‘metterci ‘in questa situazione, di questo salto di qualità ci da una controprova l’amore dell’altro, perché da quel momento, oltre a sentirci <c unici », Io siamo obiettivamente almeno per un’altra persona: il nostro partner — che poi è, in quel momento, la sola persona che conti per noi, ossia è per noi a sua volta unica. E l’incontro di due unicità non può che dare luogo a un rapporto unico, irripetibile. Ecco perché è profondamente giustificata, allorché quel rapporto si spezza, la nostalgia, la sofferenza per qualcosa che è andato davvero perduto, perché nessun nuovo incontro potrà ridare vita a quella realtà.
Ed ecco perché quella realtà l’abbiamo vissuta, finché è durata, come qualcosa di definitivo, di perenne. Quando si è attraversata un’esperienza d’amore fino alla fine, che ci sia o no una fine, sappiamo che il senso della dimensione amorosa si accompagna al senso dell’eternità. Nessuno può amare pensando che quell’amore finisca, nessuno può amare pensando di morire o che quella esperienza sia limitata nel tempo. Se si vuole fare l’esperienza dell’infinito psichico, di una dimensione che trascenda i limiti della nostra esistenza, si deve fare l’esperienza della dimensione amorosa. In quel momento noi perdiamo H senso della realtà. Ma è un bene che sia così, noi dobbiamo perderlo. È per questo, del resto, che spesso gli altri si coalizzano contro di noi: perché siamo «e persi » per la loro realtà, abbiamo disertato, siamo passati armi e bagagli a una realtà diversa, « straniera » per loro, incomprensibile e perciò temibile.
« Mi si spezza la lingua, ed una fiamma / sottile mi trascorre per le membra ». L’amore è caratterizzato da un’alterazione del nostro rapporto con la realtà; ma cosa significa in termini psicologici essere « alterati »? Significa che l’assetto psichico di cui eravamo portatori fino a un momento fa ha esaurito la sua funzione: non avremmo potuto calarci in una situazione d’amore se questo assetto psichico non avesse consentito la possibilità dell’alterazione. Le persone sagge sanno che bisogna aspettare che si compia questa esperienza perché atteggiamenti apparentemente rigidi possano dissolversi come neve al sole. Con l’amore cambia tutto, ma il cambiamento maggiore è nel nostro modo di sentire le cose della vita, noi vediamo con occhi diversi.
Una persona attenta e sensibile riesce sempre ad accorgersi se l’interlocutore si trova in una dimensione d’amore, perché chi è immerso in questa dimensione ha una tendenza particolare: la tendenza a considerare l’oggetto d’amore come fonte di felicità infinita. Quando nella ‘nostra esistenza ci troviamo a vivere un’esperienza nella quale una persona esterna a noi diventa la fonte della nostra felicità, noi siamo certamente in una esperienza-limite. Quando io mi rendo conto che la mia felicità passa attraverso l’altro e mi abbandono con generosità nelle sue braccia, allora, come dicono i versi di Saffo, sono colto dalla paura perché mi sono messo nelle mani di un altro. Si è detto spesso che la possibilità di resistere al mondo è in ragione diretta della capacità di autonomia; ma è innegabile che la conoscenza del mondo passi attraverso questo identificare nell’altro la fonte della propria felicità. È vero che mettersi nelle mani degli altri può recare sofferenze altrettanto intense della felicità che ci si aspetta, ma si tratta in ogni caso di un’esperienza che va fatta e ricercata.
Avvicinandoci maggiormente agli aspetti psicologici dell’esperienza dell’innamoramento, possiamo dire che essa trascende il desiderio sessuale. Nei momenti m cui si ha la percezione di perdere l’altro si dicono di solito, e con estrema sincerità, frasi che rivelano che siamo pronti anche a escludere l’intimità fisica pur di non rinunciare ad un « oggetto » che sentiamo come la fonte insostituibile della nostra felicità. Sono questi i momenti in cui la sessualità sembra trascendere o addirittura rinnegare se stessa.
Violenza dell’Eros Aldo Carotenuto, Roma
L’amore non può appartenere alla dimensione terrena, materiale.
Esso sfiora le nostre esistenze come una leggera brezza, che lascia dentro sensazioni impalpabili e indescrivibili, ma comunque travolgenti.
Tale dovrebbe rimanere e, in quanto tale, andrebbe vissuto: come una forza interiore che trasfigura il volto dell’amato, che stravolge il senso delle nostre azioni, che pervade di un’energia positiva le nostre giornate. Se proprio si vuol cercare un punto di contatto tra realtà e illusione, il movimento dovrebbe essere sempre dalla seconda in direzione della prima.
Viceversa, l’illusione non potrebbe che essere mortificata dalla dimensione costrittiva del reale. Con questo non voglio dire che bisogna lasciare via libera a quella «follia condivisa» che è l’amore, ma semplicemente che la sua energia vitale va impiegata, per portare avanti coerentemente e con maggior vigore la vita di tutti i giorni, lasciando poi uno spazio di incontaminata follia alla propria fantasia, un piccolo varco attraverso cui passare da una dimensione all’altra.
Platone parlava addirittura di «delirio divino», un’espressione esaustiva, adeguata e sufficiente per descrivere quella sorta di «rapimento estatico» di cui gli innamorati sono vittime e artefici.
Di fronte all’amato, l’amante prova un senso di incredibile pienezza e, contemporaneamente, ha il sentore di aver vissuto fino a quel momento in uno stato di privazione: la sua presenza è fonte di un benessere che sembra avere possibilità inesauribili.
L’esperienza sembra dirci che è la vicinanza a provocare il turbamento: colui o colei verso cui il nostro sguardo si dirige, ci cattura irrimediabilmente, stringendoci in un abbraccio emotivo caldo e travolgente. In verità l’amore vive e si alimenta di ciò che accade in noi, della nostra interiorità. L’essere su cui abbiamo fermato i nostri occhi e convogliato il nostro desiderio assume per noi un significato unico: è insostituibile perché soltanto egli può evocare in noi delle dimensioni interiori profonde e particolarissime. In verità, nella dinamica dell’incontro amoroso, si viene catturati, rapiti, da un oggetto che sembra essere dotato della qualità straordinaria di corrispondere esattamente all’interiorità del proprio desiderio.
Ecco perché lo stato di innamoramento ci pone sempre dinanzi a qualcosa di incomprensibile: l’Altro è atopos, cioè «inclassificabile», perché la sua distinzione implicherebbe anche la sua conoscenza. Per tutta la durata dell’innamoramento, il tentativo di porsi di fronte a ciò che è pieno di segreti e di fascino, rappresenta, in realtà, il tentativo di tradurre quel mistero e quell’attrazione sovvertitrice in una esperienza nota e comprensibile.
In effetti, giacché l’amore – e soprattutto l’innamoramento – ha i tratti di un’autentica visione, bisognerebbe capirne i limiti oltre alle potenzialità. Per quanto bella ed estatica una visione possa essere, di per sé non porta a nulla, se non all’immobilità della contemplazione.
Una visione nonpuò in alcun modo essere trattenuta, ma può trasformarsi in una diversa attitudine alla vita. Solo allora comincia quel periglioso percorso che dall’immagine conduce alla sua incarnazione, un cammino che ci tiene fino all’ultimo con il fiato sospeso. Capace di risvegliare in noi emozioni incontenibili, a volte anche negative, distruttive, quando le cose non vanno come vorremmo, quando un ostacolo si interpone alla realizzazione dei nostri sogni.
D’altra parte non possiamoparlare d’amore senza avere coscienza dei pericoli che esso cela.
Nel momento stesso in cui giuriamo eterno amore, ci rendiamo anche conto che si tratta di un «giuramento falso», di cui non possiamo garantire in alcun modo l’esito. Tutto è destinato a mutare, soprattutto le persone; così ogni promessa ha una buona probabilità di essere
dirottata.
Ma questo dovrebbe bastare per farci rinunciare alla seduzione di un’illusione? Può forse la prospettiva del fallimento trattenerci dal richiamo dell’amore? Non credo. Pur cercando di capire, di comprendere, non vorremmo mai abbandonare del tutto quell’illusione che, abbagliandoci, permette e sorregge il nostro innamoramento, lasciando sempre dietro di sé un richiamo nostalgico: il presagio di una nuova visione.
Aldo Carotenuto, Il suo ultimo articolo, pubblicato il 14 febbraio 2006 da “Il Mattino”.
AFORISMI
Solo l’autoaccettazione può condurre verso l’indipendenza, consentendo la relazione. E questo sembra l’unico modo per “salvarsi la vita”.
La vulnerabilità a cui l’amore ci espone, e l’importanza centrale che l’altro viene ad assumere nella nostra vita, ci gettano in uno stato di bisogno.
Una forma diventa bella perché è significativa per un soggetto, e lo è in quanto, coincidendo con il suo desiderio inconscio, riesce a rappresentarlo e anche a evocarlo.
Nessuno può amare pensando che quell’amore finisca, nessuno può amare pensando di morire o che quella esperienza sia limitata nel tempo. Ecco perché è profondamente giustificata, allorché quel rapporto si spezza, la nostalgia, la sofferenza per qualcosa che è andato davvero perduto, in quanto nessun nuovo incontro potrà ridare vita a quella realtà.
I poeti sono gli unici esseri umani che abbiano trovato nella parola una modalità espressiva in grado di cogliere l’essenza dei sentimenti, perché la poesia è fatta di metafore e allusioni, di simboli e di rimandi.
C’è una differenza fondamentale fra il maschile e il femminile: quest’ultimo celebra la sua incredibile profondità di vita attraverso la presenza della tenerezza. Solo il “femminile” (nella donna come nell’uomo) riesce a far questo.
Ciò che è ignoto in genere provoca paura. Vorrei sottolineare come questa e la dimensione amorosa vadano sempre insieme; un segnale del nostro essere innamorati è la sensazione di paura che abbiamo di fronte all’amore e se non proviamo anche angoscia per quello che sta succedendo probabilmente noi non amiamo.
In fondo bisogna essere soli, bisogna sentire la propria solitudine per poter capire che cosa significhi la presenza dell’altro.
L’equivoco nel quale noi purtroppo cadiamo è pensare che nel rapporto amoroso dobbiamo escludere con tutte le nostre forze il conflitto, la sofferenza, il dolore e la lacerazione. Questo è utopistico perché se siamo noi stessi portatori di un dissidio strutturale, se siamo noi stessi portatori di vita e di morte, non c’è unione dove questa dicotomia, questa antitesi non emerga. L’enorme sofferenza che può derivare da un legame è un fatto intrinseco; non possiamo rifiutare una relazione perché ci arreca dolore.
Il tradimento è un passaggio inevitabile nella storia di due persone che si amano: è un momento di apertura verso l’esterno e verso l’interno, un momento di riconquista della propria identità.
Psicologo, Psicoterapeuta
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